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L'Archivio Fotografico racconta: il Mausoleo di Santa Costanza
 
Gli scatti in bianco e nero conservati nell’archivio fotografico della Soprintendenza Speciale di Roma sono l’incipit della storia del Mausoleo di Santa Costanza.
Il monumento funebre nelle adiacenze della chiesa di Sant’Agnese fu eretto per la figlia dell’imperatore Costantino, nel Seicento essendo così lontano dall’abitato di allora era in uno stato di abbandono al punto che un gruppo di pittori del nord Europa lo scambiarono per un tempio dedicato a Bacco e lo elessero a sede delle loro goliardiche riunioni. Sembra una storia incredibile che si ricompone attraverso i tasselli della documentazione fotografica conservata nell’Archivio fotografico della Soprintendenza Speciale di Roma affidato alla storica dell'arte Mariella Nuzzo.
Il mausoleo, a pianta centrale, risale al IV secolo d.C. Della ricca decorazione musiva, di età paleocristiana, si conservano quasi esclusivamente gli elementi nella volta a botte dell’ambulacro che presenta motivi geometrici e scene di vendemmia. Nella calotta absidale era rappresentato un tema figurativo di forte matrice classica con il fluvius argenteus alla base, popolato da amorini, pescatori e animali acquatici, da cui partivano dodici candelabri convergenti verso il centro della volta. Ed era stato proprio questo tema dei mosaici ad aver generato una errata attribuzione dell’edificio da monumento funebre cristiano a tempio pagano. In particolare all’inizio del Seicento, considerate anche le condizioni di abbandono, l’edificio divenne sede di feste e riti di una colonia di pittori nordici, detta Bentvueghels, che, lo credevano un tempio di Bacco.
Nel 1620 il cardinale Fabrizio Veralli, titolare della basilica di Sant’Agnese, promosse un restauro del mausoleo per favorirne la percezione come luogo sacro da parte dei fedeli. L’intervento comportò la distruzione della decorazione musiva della calotta e delle incrostazioni musive del tamburo, la cui condizione conservativa dovette apparire compromessa. Il pittore veliterno Marco Tullio Montagna ricevette, per la somma di 250 scudi, l’incarico della nuova decorazione che prevedeva la raffigurazione del Paradiso con gli ordini e le gerarchie angeliche nella cupola, ancora in situ, e nel tamburo dodici pannelli con Storie di San Gallicano e Santa Costanza.
Questi ultimi furono distrutti negli anni Trenta del Novecento nel corso del restauro diretto da Guglielmo De Angelis d’Ossat, ad eccezione di due scene che furono staccate e conservate nella sede della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio. L’intervento mirava a mettere in luce la muratura del tamburo probabilmente per favorire lo studio della tecnica costruttiva della struttura portante della calotta, nella quale De Angelis d’Ossat ha rilevato la presenza di una serie di nervature radiali in laterizio convergenti in un anello centrale con la funzione di equilibrare le spinte provenienti dal basso, secondo una prassi ben sperimentata nell’architettura antica.
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