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15/05/2020 - 21/05/2020
La didattica a distanza… di secoli - la giornata scolastica nell'antica Roma
 
Nuovo appuntamento con La didattica a distanza… di secoli. Il Servizio Educativo della Soprintendenza Speciale di Roma ci guiderà dentro una scuola dell’antica Roma, proprio partendo dal fatto che non esistevano edifici specificamente dedicati all’istruzione: le lezioni si potevano tenere all’aperto, nei locali di una taberna o nel retrobottega di un negozio. A scuola gli alunni sedevano su sgabelli senza schienale, scrivevano sulle ginocchia senza utilizzare banchi e si disponevano intorno all’insegnante che era sistemato su una sedia al di sopra di una pedana (cathedra).
Per scrivere si potevano usare tavolette di legno (pugillares, codicilli), penna (calamus) inchiostro e calamaio (atramentarium): quest’ultimo era di metallo o ceramica e talvolta di vetro. Più di frequente le tavolette erano incavate e contenevano uno strato di gomma lacca fusa (anticamente detta cera, da cui la denominazione tabula cerata) sul quale si scriveva mediante lo stilo, un bastoncino in genere di metallo, con una punta per incidere e una spatola per cancellare. Per far di conto si usava l’abacus (strumento presente anche nelle botteghe dei banchieri). I libri più diffusi erano costituiti da rotoli di papiro (volumen): a Roma i più antichi volumina erano esemplari greci giunti come bottino di guerra nel II e I secolo a.C. Esistevano, inoltre, diversi tipi di carta, quella di migliore qualità era detta Augusta in omaggio all’imperatore Ottaviano Augusto.

In un manoscritto anonimo, databile circa al III secolo d.C., viene raccontata con linguaggio semplice la giornata di scuola di un allievo. Vi si legge infatti: “Vado a scuola. Entrai, dissi: “Buongiorno maestro” e lui mi bacia e mi saluta a sua volta. Il mio schiavo scriniarius mi porge le tavolette, l’astuccio degli stili, il righello. Seduto al mio posto cancello (le tavolette). Quando ho scritto, mostro (il mio scritto) al maestro; l’ha corretto, ha cancellato (gli errori)” (Colloquia Monacensia-Einsidlensia 2g-2m).
Com’erano gli studenti nell’antichità. Grazie all’archeologia conosciamo la storia emblematica di uno studente prodigio. Nel 1871, durante lo smontaggio di Porta Salaria nei pressi dell’odierna Piazza Fiume, fu ritrovato, sovrapposto ad una tomba molto più antica, il monumento funerario di Quinto Sulpicio Massimo, un bambino prodigio morto a soli 11 anni che aveva partecipato all’Agone Capitolino (Certamen Capitolino Iovi), istituito dall’imperatore Domiziano nel I secolo d.C., che si svolgeva ogni quattro anni nello stadio appositamente costruito per questo evento (l’attuale Piazza Navona). I genitori del fanciullo fecero incidere sulla sua tomba la storia dell’amato figlio “indebolito e ammalato per il troppo studio e l’esagerato amore per le Muse” e la poesia che egli aveva composto per l’Agone Capitolino di cui vogliamo ricordare un emblematico verso: “usa riguardo alla terra ed a tutto lo splendido mondo”. La copia del monumento del piccolo Sulpicio è ancora oggi visibile in un giardino a ridosso delle Mura Aureliane lungo Via Piave, mentre l’originale è conservato presso la sede museale della Centrale Montemartini.
 
Nelle foto: Abaco tascabile, Museo Nazionale Romano, Medagliere
Pompei. Affresco con instrumenta scriptoria, Museo Archeologico Nazionale di Napoli
Il sepolcro del fanciullo Quinto Sulpicio Massimo
Soprintendenza Speciale Archeologia
Belle Arti e Paesaggio di Roma

Piazza dei Cinquecento, 67 - Roma

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